Amleto Picerno intervistato da Cristina Morozzi

Leggi l’intervista a Amleto Picerno Ceraso, co-founder dell’azienda Medaarch, specializzata nella produzione di arredi attraverso tecniche di digital fabbrication e nuove tecnologie.


Medaarch, fondata nel 2007 da Gianpiero Picerno Ceraso, ingegnere, Amleto Picerno Ceraso, architetto e Francesca Luciano, esperta di marketing e comunicazione, a Cava dei Tirreni, è il primo laboratorio di fabbricazione digitale del sud Italia, dotato di macchine tecnologiche per la fabbricazione digitale, la prototipazione di oggetti e strumenti. E’ un hub tecnologico e di formazione, che si è posto l’obiettivo di rilanciare le attività artigianali mediante il digitale e le nuove tecnologie e che utilizza la bio-fabbricazione per realizzare prodotti di arredo.

Medaarch ha partecipato nel 2021 alla terza edizione di EDIT a Napoli con la collezione “Mediterranea”, una linea di arredi e complementi stampati in 3D. Nel 2021, per la terza volta, ha illuminato il Natale di Roma con una installazione di fibre ottiche in via del Corso.


C.M.

Quali gli stimoli e quale il progetto all’origine di Medaarch?

A.P.

Sono state le esperienze fuori Italia, il corso che ho seguito a Barcellona allo IAAC (Istituto di Architettura Avanzata) e l’esperienza al Politecnico di Boston che mi hanno stimolato a sperimentare le nuove tecnologie nella professione di architetto e mi hanno invogliato a operare un transfer di queste tecnologie anche nel comparto manifatturiero.



C.M.

Il nome stesso, “manifatturiero” indica una componente manuale. Non è conflittuale con il digitale? E’ plausibile parlare di artigianato digitale, oppure è una contraddizione in termini?

A.P.

Il digitale è uno strumento e come tale va conosciuto e utilizzato. Vanno abbattute le barriere tra tecnica e pratica e bisogna imparare a acquisire sensibilità nei confronti della materia quando lo si utilizza. Credo che anche con gli strumenti nuovi si possa dare risposta a bisogni antichi, operando nell’ottica di una economia circolare, utilizzando materiali biodegradabili e ecofriendly. Con Medaarch abbiamo compiuto un passo ulteriore, utilizzando il digitale non solo per la prototipazione ma anche per la produzione.



C.M.

Il riferimento al Mediterraneo è geografico o anche culturale?

A.P.

Il Mediterraneo per me è un modello di ibridazione dei saperi, soprattutto nel sud Italia che ha avuto dominazioni di arabi, normanni… Medaarch realizza una ibridazione tra cultura classica e tecnologia avanzata, mantenendo i colori e le atmosfere delle proprie origini geografiche. La natura è un sistema complesso, basta pensare all’organizzazione di un alveare. Il design computazionale (quello che utilizza la capacità del digitale per generare forme complesse) e la stampa 3D consentono di simulare i processi della natura



C.M.

Chi disegna i prodotti?

A.P.

Accanto a me che possiedo una formazione da architetto e da designer collaborano altri progettisti, assieme immaginiamo tipologie compatibili con le tecnologie digitali, sempre nel rispetto della natura dei materiali. Credo nell’aspetto generativo dei progetti e ritengo che le materie contengano in nuce le forme che le sono più proprie.



C.M.

Come definiresti lo stile delle vostre collezioni?

A.P.

Post digital, ovvero generato da una attitudine consapevole che mira all’integrazione dell’estetica con l’etica, che utilizza le tecniche avanzate senza violentare la materia. Le caratteristiche delle materie ci guidano nella creazione delle forme. Il nostro obiettivo è suscitare “meraviglia,” perché oggi non è più il virtuosismo manuale, ma è la tecnologia lo strumento che consente la meraviglia. La collezione Mediterranea del settembre 2021, composta di 12 pezzi, ad esempio, è caratterizzata da abbinamenti di più colori e da striature policrome.



C.M.

Una definizione lapidaria di Medaarch?

A.P.

Rispondo in modo altrettanto lapidario: Medaarch è una bottega rinascimentale attualizzata.




Cristina Morozzi