Denis Santachiara intervistato da Cristina Morozzi

Designer e artista fuori dagli schemi, uno dei protagonisti indiscussi del design italiano oltre che pioniere della manifattura digitale. Leggi l’intervista a Denis Santachiara.

 

 

C.M.
Cominciamo con le origini

 

D.S
Nasco come ragazzino che disegna automobili, perché l’auto per me era un mito. Sono cresciuto nella moto valley, una zona piena di piccoli produttori di super car personalizzate. Capito per caso alla MVM start up di super car, mostro i miei disegni e mi assumono. Comincio a lavorare su una Nembo, una vettura sportiva creata su richiesta di clienti speciali. È stata la mia scuola. Due esemplari furono venduti anche al MoMA di New York.

 

Disegnavo bene e facevo anche dei quadri. L’esecutivo di un’auto è sempre stato un disegno uno a uno. All’epoca gli elaborati, si eseguivano con tecnigrafi che erano lunghi anche 5 metri. Dopo il 68, età della cultura underground e della beat generation, inizio a dedicarmi al mondo dell’arte e a frequentare le gallerie. Nel 1975/76 partecipo alla Biennale di Venezia, invitato da Gianfranco Bettetini, considerato oggi il padre della semiotica, con la Collina soffice, realizzata con l’Apple 2 assieme a Iret, il primo importatore italiano di Apple. Lisa Licitra Ponti, titolare della rubrica d’arte su Domus dedicò quattro pagine al progetto e così l’evento, titolato ”Tutte le arti tendono alla perfomance”, si replica in quattro sedi, grazie alla curatela di Francesca Alinovi, docente di arte al Dams di Bologna.

 


C.M.
Una sintetica descrizione del tuo approccio al design

 

D.S. 
Arrivo a Milano e apro uno studio. Vengo coinvolto in Alchimia, un gruppo di lavoro della avanguardia radicale, fondato da Alessandro Guerriero e dalla sorella Adriana nel 1976, cui aderirono Alessandro Mendini, Ettore Sottsass, Andrea Branzi, Riccardo Dalisi. Inizio a creare oggetti denominati “Funzionoidi” con l’idea che gli oggetti valgono non solo per l’estetica ma anche per le loro performance.  La tecnologia per me ha il significato della “tekne greca”, ovvero la poesis che significa letteralmente il fare dal nulla, cioè creare. Dall’esperienza di “Funzionoidi” deriva la mostra manifesto “Neomerce - Design dell’invenzione e dell’estasi artificiale” alla Triennale di Milano dell’84 e poi ‘85 al Centre Pompidou di Parigi con progetti dei giovanissimi di allora, quali Philippe Starck, Alberto Meda, Franco Raggi e Danny Lane. Il presupposto della mostra era che gli oggetti esposti fossero funzionanti.

 


C.M.
Chi ritieni tuo maestro? 

 

D.S.
Bruno Munari. Nella biblioteca del paese mi capitò in mano un dei suoi libri didattici. Mi conquistò! Gli scrissi e lui mi invitò nel suo studio a Milano. Gli mostrai un progetto che apprezzò, perché lo ritenne inedito. Mi colpì la sua attitudine all’ascolto, la sua fine intelligenza, la sua disponibilità: un maestro di umanità, più che di disciplina.

 


C.M.
Hai delle tipologie di prodotto che ti sono congeniali? 

 

D.S.
Non amo particolarmente i mobili, mi vengono sempre in mente oggetti più laterali. Mi affascinano le lampade, perché mi piacciono i led.

 


C.M.
La tecnologia?

 

D.S.
Per me la tecnologia non è una prestazione ma un linguaggio che non riguarda la struttura fisica degli oggetti, piuttosto gli aspetti sensoriali. E’ collegata alla percezione, più che alla forma e alla funzione, come indicava Mies Van der Rohe con il suo imperativo “la forma segue la funzione”.

 


C.M.
Il design può essere considerato una missione?

 

D.S.
Non penso che il design cambi il mondo, però c’è uno slogan ripreso da molti: “il design per le aziende equivale al peperoncino nel sugo di pomodoro”. Ovvero deve essere un forte stimolo a sperimentare e inventare per rendere sapidi i prodotti.

 


C.M.
Quale futuro vedi per il design?

 

D.S.
Oggi esiste il mercato parallelo dei makers, che fa concorrenza alle aziende classiche dell’arredamento, con il quale è necessario fare i conti. Penso che ci sia molto da lavorare e da sperimentare sulla comunicazione digitale, sulla rappresentazione e sulla modalità di vendita da remoto. 

 


Denis Santachiara è anche la mente dietro Cyrcus Design. Scopri la collezione su Design Italy.

 

 

 

Cristina Morozzi